Marco Bini
Fotografia di Daniele Ferroni
Bologna città-stalagmite, fuori le mura
è quasi più acciaio che pietra.
Novecento puro la torre dell’Unipol impressa
dal logo liquido del sole
(Rothko, Gramsci, Montale tutti assieme)
nella calma minerale presidiata dai server.
Ci sono anche i fiori, ma nessuno li capisce
aggrappati ai terrapieni, al riparo dei guard–rail:
ci lasciano andare, non dicono niente.
Crinali di colline al ritorno, cielo, cose che non so.
Continuate a darmi limiti,
spingetemi a frugare nel mucchio del visibile.
Diventate scrittura, accenti sul libro del mondo.
Parole:
fatevi scrivere, tenetemi in vita.
Vorrei anticipazioni sulla vita umana a 80 anni,
non tanto per sapere se avrà fatto effetto il footing
che faccio adesso o se in faccia avrò stampata
la mappa fisica del mondo, ma per vedere con quanta
chiarissima retroveggenza mi saprò spiegare tutto,
o se – direbbero in francese – per quattro–volte–venti
volte avrò barato e, come in un cinema al contrario,
riscritto la storia del mio cuore a partire dal girato.
Davanti a un cippo partigiano
Come fai a non pensare che uno dei due
si chiamava quasi come il cretino
che in seconda media faceva sbudellare
muovendo le orecchie avanti e indietro.
E come fai a non pensare che IN SEGUITO
A FERITE RIPORTATE IN COMBATTIMENTO
CONTRO I NAZIFASISTI è appena diventato
il tuo nuovo errore preferito.
Nei romanzi fischiano così tante pallottole
da riempire il bosco di piombo.
Almeno due sono arrivate a loro,
nomi di metallo lungo una strada di collina.
Dalle lettere colano sbavature di nero:
le hanno strofinate i polpastrelli del tempo.
Hanno sguardi che non fanno troppe domande.
Impossibile essere all’altezza di un morto a vent’anni.
*
Un nome d’erba che non conosco
è solo parte del problema:
si dà il caso che mi sfuggano botanica,
elettronica, magia e che io
comunque viva
come Andromeda nel cielo d’autunno,
il pioppo che non sa dove finisce il fiume
però diminuito
perché un’altra parte del problema
è che manco del canto degli uccelli,
dell’universo e delle donne
al lavoro davanti casa
e comunque vivo
ma ridotto al minimo
come la crescita nelle valli
e un’altra parte ancora
è che le mani non conoscono la danza,
non canta più nessuno.
Marco Bini è nato nel 1984 e vive a Vignola (MO).
Suoi testi sono apparsi sulle antologie La generazione entrante (Giuliano Ladolfi editore, 2011) e Post ‘900 (Giuliano Ladolfi editore, 2015), oltre che su diverse testate online e cartacee come “Nuovi Argomenti”, “Poetarum Silva”, “Poesia del nostro tempo” e “Le Voci della Luna”.
Ha pubblicato tre raccolte di poesie: Conoscenza del vento (Giuliano Ladolfi editore, 2011), Il cane di Tokyo (Giulio Perrone editore, 2015) e New Jersey (Interno Poesia, 2020).
Collabora con l’organizzazione di Poesia Festival in provincia di Modena e organizza rassegne letterarie e culturali con associazioni ed enti del territorio.