Associazione
Storie di vita
L’avventura, che è divenuta oggi l’Ecomuseo delle Erbe Palustri, ha inizio da un sogno: ricostruire, in un paese dimentico di sé stesso, un patrimonio comune ereditario.
Nel giugno del 1985, su stimolo del presidente del consiglio di frazione, Antonio Pilotti e di un non-villanovese Claudio Conti, si formò un piccolo gruppo, denominato Gruppo Culturale Civiltà delle Erbe Palustri, nucleo fondante della futura associazione, al quale facevano parte Maria Rosa Bagnari, attuale direttrice didattica e Luigi Barangani, attuale responsabile del Cantiere Aperto, a quel tempo una giovane coppia interessata a recuperare l’arte artigiana che aveva caratterizzato un tempo l’economia del loro paese d’origine.
Furono proprio Maria Rosa Bagnari e Luigi Barangani ad iniziare un primo lavoro di indagine conoscitiva all’interno del paese per recuperare attrezzature originali, fasci d’erba, manufatti ed avanzi di magazzino allo scopo di creare una piccola esposizione. Di grande importanza fu la necessità di individuare quante persone ancora possedessero il bagaglio tecnico inalterato delle arti manuali dell’utilizzo delle erbe palustri e fossero disponibili a collaborare a una prima idea informale di ricostruzione della produzione classica villanovese a scopo di studio e di raccolta.
Come primo risultato delle ricerche effettuate, venne realizzata la prima edizione della Sagra Civiltà delle Erbe Palustri che vide all’opera il primo gruppo di artigiani esperti nelle varie specialità villanovesi (il futuro Cantiere Aperto), suscitando una grandissima emozione in tutto il paese.
Scopri come tutto è iniziato
La storia dell’Ecomuseo era tuttavia nata molto tempo prima.
1971: Maria Rosa sposa Luigi, figlio del noto e stimatissimo artigiano villanovese Barangani Valeriano, conosciuto in tutto il mondo della valle e del commercio delle erbe palustri per la sua grande competenza ed onestà.
Al momento della sistemazione della giovane coppia nella casa dei genitori di Luigi, Maria Rosa esprime il desiderio di abbellire il piccolo appartamento con le tendine da finestra che aveva notato a brandelli nel “casone”, laboratorio della zia di Luigi. Malgrado l’opposizione incontrata, Maria Rosa riesce con la sua insistenza ad ottenere un piccolo fascio di erba recuperato nel magazzino di un collega del suocero e un telaio, appartenuto all’ultima anziana signora che in paese aveva costruito in passato i sturul da finestra, inciso dalle funi e dai segni di riferimento che si erano sovrapposti nel corso degli anni. Dopo aver commissionato una copia dell’antico telaio, mancava solo la materia prima, poiché il piccolo fascio recuperato non era sufficiente.
Una sera Luigi, di ritorno dal lavoro, comunica a suo padre di aver acquistato della broja. Valeriano si mette le mani tra i capelli
«Quanta ne hai comprata?» domanda in modo mirato, ben conoscendo il mondo del commercio dell’erba palustre.
«Ne ho comprato un furgone intero; o tutto o niente» e esclama Luigi.
«Una pazzia! Un furgone di materiale per accontentare tua moglie!?».
Luigi presenta un’unica giustificazione a tale comportamento: «Hai il magazzino vuoto; la pago io; la mettiamo là».
Fu così che Maria Rosa impara a costruire le tendine per finestre grazie agli insegnamenti della suocera. Le tendine esposte alle finestre che davano sulla strada principale iniziano ad attrarre l’attenzione per la loro bellezza e originalità al punto che diversi passanti gliele commissionano. Non solo finisce tutto il furgone di giunco pungente, ma iniziano a raccoglierne per riuscire a soddisfare le richieste di tendine, alcune montate in case del centro storico di Ravenna, le stesse case dalle quali provengono le tendine originali dipinte che ora sono esposte al museo, manufatti originali che hanno più di 100 anni.
Inizia così la storia di un ecomuseo vero e non auto referenziale; un progetto partecipato realizzato dalla gente, dalla popolazione villanovese che unica può avere le competenze tecniche inalterate della lavorazione delle erbe spontanee di valle.
Il cantiere aperto
Il Cantiere Aperto è il coordinamento degli artigiani esperti nell’arte dell’intreccio delle vegetazioni spontanee secondo le tecniche ottocentesche in uso a Villanova di Bagnacavallo.
Il gruppo ha reso possibile la ricerca, lo studio e il recupero della produzione classica villanovese del periodo che va approssimativamente dal 1850 al 1950, riconosciuto come la fase più interessante quanto a quantità e varietà dei manufatti realizzati. E’ tramite questo gruppo, interno all’Associazione Culturale Civiltà delle Erbe Palustri, che inizia così l’opera di salvaguardia di un bene immateriale, quello dell’attività produttiva, totalmente cessato negli anni settanta del secolo scorso.
Le prime informazioni furono raccolte grazie alle competenze e alle conoscenze dell’artigiano Barangani Valeriano e alla disponibilità di circa cinquanta persone, i quali detenevano ancora il bagaglio inalterato delle tecniche di lavorazione delle erbe palustri o erano mestieranti specializzati di manifatture specifiche. A loro fu affidata l’opera di recupero delle materie prime, delle fasi della conservazione e di preparazione delle erbe e della ricostruzione dei manufatti tradizionali.
Le testimonianze del primo informatore fecero emergere una realtà vasta e complessa che necessitava un impostazione chiara e didattica; per tale motivo fu necessario impostare immediatamente sia la ricerca del patrimonio culturale che il recupero per cicli produttivi.
All’improvvisa morte di Valeriano, il primo nucleo del Cantiere Aperto aveva già un’autonomia che gli consentiva di continuare l’opera di recupero e ricostruzione, in quanto composto da artigiani che in passato erano stati tutti lavoranti del laboratorio Barangani.
Il secondo importante informatore fu Amleto Marescotti, padre del famoso attore, che partecipò al Cantiere Aperto come membro attivo nel settore specifico delle stie e delle sedie.
Così come i soci che sostengono l’Associazione, anche gli artigiani che partecipano al Cantiere Aperto prestano da sempre la loro opera in maniera volontaria.
Dopo le prime fasi di costituzione del gruppo di artigiani e conseguentemente della collezione materiale, il Cantiere Aperto si è particolarmente impegnato nel settore didattico e divulgativo, attività queste che hanno permesso di dare vita a un vero Ecomuseo, ovvero un museo vivo e dinamico, molto diverso dalle consuete raccolte etnografiche.
Grazie alla intensa attività di mostre, laboratori ed eventi, resa possibile dal Cantiere Aperto, l’Associazione Culturale Civiltà delle Erbe Palustre, seguendo le linee etiche delle filosofie ecomuseali, ha creato una economia sostenibile che permette di finanziare una vivace attività annuale.
La mission
L’Associazione della Civiltà delle Erbe Palustri, che gestisce in convenzione per il Comune di Bagnacavallo l’Ecomuseo delle Erbe Palustri, nasce nel 1985 sotto impulsi popolari che cercarono di rispondere al disagio della perdita d’identità del territorio di appartenenza.
L’Associazione si pone come primo obiettivo il recupero dell’economia sviluppatasi a Villanova di Bagnacavallo, legata all’ambiente originario. Anche oggi attraverso l’attività dell’Associazione, tale economia, che ha caratterizzato negli anni la comunità, continua a produrre cultura e turismo tramite le mirate politiche didattiche e divulgative.
L’Associazione parla di etnografia, antropologia e ecomusealità come materie vive e non come semplice esercizio della memoria. A tal scopo, non solo studia, recupera, conserva e divulga la memoria e i beni materiali legati al mondo dell’utilizzo delle fibre vegetali che costituiscono il patrimonio comune ereditario della comunità villanovese e delle terre del Lamone, ma promuove e valorizza anche l’intero territorio ravennate tramite progetti di turismo lento, consapevole e sostenibile, iniziative, eventi, progetti partecipati e scambi culturali che salvaguardano gli usi, i costumi, le tradizioni, la cultura e l’identità della Bassa Romagna. Mette in atto politiche di solidarietà fra le generazioni, di sensibilizzazione e educazione ambientale e alla bio-diversità, ponendosi come esempio di sostenibilità.
Fiori all’occhiello dell’Associazione sono stati, in questi ultimi anni:
La ricerca e la divulgazione pedagogico-didattica degli aspetti ludici legati all’ambiente e alla cultura locale
Tramite progetti di continuità didattica, visite guidate e laboratori volti a stimolare il senso della vera economia e della creatività
Il recupero di percorsi alternativi lenti
Già esistenti e progetti partecipati come quello che ha coinvolto le Terre del Lamone
Il recupero delle strutture poderali in canna palustre
Realizzate seguendo fedelmente le tecniche dell’arte dei maestri capannai del ravennate con la creazione non soltanto dell’Etnoparco ma anche con la supervisione dell’Associazione nel restauro o nella costruzione ex novo di capanni privati;
Importanti collaborazioni con il mondo universitario nazionale
Con prestigiosi rapporti e scambi culturali con varie realtà europee esperte nell’utilizzo delle fibre vegetali